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Fatto: questo Governo è piu’ austero di quello Monti.

Tratto dal Sole 24 Ore di oggi.

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La nota di aggiornamento del Documento di Economia e Finanza è il primo documento ufficiale che permette di misurare credibilmente il segno della politica economica del Governo Letta. Non solo. Pubblicata a meno di 6 mesi di distanza dall’ultimo documento ufficiale del Governo Monti (il DEF stesso), abbiamo ora modo di ottenere informazioni preziose su due ulteriori dimensioni delle bontà delle scelte adottate dagli ultimi due Governi: 1) gli ulteriori scostamenti ed errori di previsione del Governo del Professore nell’ultimo trascorso semestre e 2) se e come la Grande coalizione italiana attualmente in carica intende discostarsi dalle politiche (giudicate fallimentari da circa il 90% dei votanti alle recenti elezioni politiche) del predecessore bocconiano.

I conti sono presto fatti. In soli 6 mesi l’outlook sul 2013 dell’economia italiana è cambiato in peggio su tutti i fronti: con un aumento del rapporto debito su PIL di ben 2,4 punti percentuali, un rapporto spesa pubblica su PIL maggiore di quanto affermato 6 mesi fa di ben 0,8 punti percentuali ed un peso delle entrate fiscali su PIL ancora maggiore, di 0,5% di PIL. Il fatto che – malgrado l’ammissione del Dicastero di Via XX Settembre che i “moltiplicatori fiscali si sono mostrati ben più reattivi di quanto inizialmente stimato dalle principali istituzioni internazionali” – questi errori di previsione del Tesoro continuino imperterriti da anni fa dubitare fortemente della bontà e della credibilità delle nuove proiezioni da poco elaborate. La colpa, si direbbe, è di una (de)crescita economica che è stata nuovamente sottostimata (da -1,3 oggi a -1,7% per il 2013). Ma, evidentemente, la minore crescita ha a sua volta una sola causa:  l’aumento della tassazione e soprattutto la diminuzione della spesa, quella spesa capace di generare ricchezza e ripresa in una fase di ciclo in cui la domanda interna privata è scomparsa.

Spicca in questo senso l’incredibile decisione programmatica sugli investimenti pubblici, che Monti già prevedeva di ridurre, dal 2013 al 2017, dello 0,4% di PIL (da un livello di partenza storicamente già bassissimo) e che Letta addirittura accentua con una riduzione, nello stesso periodo, di 0,9% di PIL. Su tutte le altre dimensioni di bilancio rimane, nel Governo attuale, la stessa traccia di austerità che aveva caratterizzato la visione di lungo periodo del Governo Monti: sulla spesa per dipendenti pubblici è prevista la stessa riduzione di ben 1,3% di PIL in 4 anni (difficile immaginare in tal senso una ricomposizione dai settori pubblici meno strategici verso la scuola, la ricerca e l’università), mentre entrate e spese totali paiono ormai scolpite nella pietra, con una identica convergenza al 2017, oggi come 6 mesi fa, verso valori minori di quelli odierni, almeno sulla carta.

Il tempo passa, e dunque nulla cambia, anzi se possibile l’austerità peggiora. Val la pena chiedersi da dove derivi questa rigidità ed apparente incapacità del Tesoro di “rivoluzionare” le leve del bilancio pubblico per portare l’economia fuori dalla recessione. E’ semplice. Basta leggersi con attenzione i due DEF del Ministero per rendersi conto che quest’ultimo non segue, come dovrebbe, l’elementare regola della crescita economica ma piuttosto due “nuove” regole imposte da Bruxelles: quella della spesa pubblica e quella del debito, ideate per porre vincoli stringenti alla crescita di queste variabili. L’Italia non soltanto ha ubbidito a queste nuove regole; i recenti Governi si sono addirittura mostrati più realisti del re e, così facendo, hanno tolto spazio vitale alla ripresa economica.

La regola della spesa pubblica, che pone limiti severi alla crescita di questo aggregato, ed è la ragione per la quale i governi di Monti e soprattutto di Letta hanno deciso di sacrificare addirittura la leva strategica degli investimenti pubblici, richiedeva  che l’Italia nel triennio 2012-2014 diminuisse la spesa reale dello 0,8% nei primi due anni e la mantenesse stabile nell’ultimo. Niente di più. Eppure, incredibilmente, questa è invece scesa di ben più di quanto non fosse necessario: rispettivamente del 4,7, dell’1,4 e del 2,3%; diminuzioni ultronee, capaci di farci comprendere le ragioni della contestuale recessione ed instabilità dei conti pubblici che sono il segno della politica economica di questi ultimi Governi.

Purtroppo, a sua volta, la recente nota d’aggiornamento al DEF ci ricorda che l’Europa delle regole stupide è sempre al lavoro. Così apprendiamo che è de facto partito il meccanismo del Fiscal Compact che già ci obbliga a convergere verso valori del debito su PIL in rapida riduzione (un paradosso, se pensiamo che le soluzioni europee sinora adottate per l’Italia non hanno fatto che aumentarlo). Ma anche qui, scopriamo che il nostro Governo è stato più conservatore dell’Europa stessa: mentre l’aggiustamento fiscale richiesto da questa regola per il 2013 era pari allo 0,1% di PIL, leggiamo, “tuttavia, (che) lo sforzo fiscale attuato dal Governo nell’anno in corso, pari a 0.9 punti percentuali di PIL, risulta essere nettamente superiore alla correzione fiscale richiesta per il rispetto della regola del debito”. Un masochismo senza pari.

Spazi per un’espansione fiscale autorizzata dall’Europa c’erano e ci sono. Ci si deve chiedere piuttosto se ci sia un Governo nazionale capace di comprenderlo e di negoziare con coraggio in questa direzione.

17 comments

  1. Un governo con risultati cosi disastrosi come minimo dovrebbe dimettersi … Un Europa con una politica economica cosi stupida dovrebbe almeno cambiare parametri assurdi come il pareggio di bilancio, il deficit del 3% oppure avere un debito/pubblico del 60% … Più i risultati economici peggiorano e più l’Italia diventa credibile agli occhi del nostro governo … Ma Letta e Monti hanno studiato un po’ di economia ? …
    Cordiali saluti

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  2. Ho sentito dire da un economista, che in un certo evento si contrapponeva a Boldrin (non ricordo ora esattamente, ma il video si può trovare su youtube), che il valore del 3% del deficit non è un qualcosa che è stato progettato, ma si trattò di una proposta che fu presa poi per buona e condivisa ma senza vere buone motivazioni.
    Gustavo ci puoi dire qualcosa a riguardo? Se fosse vero si potrebbe studiare una proposta concreta che specificasse un valore diverso, con determinati obiettivi.

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    • Il 3% del deficit su PIL fu ideato per un mondo con crescita potenziale al 3% per mantenere il debito costante al 60%. Se dovessimo tenere conto che ormai la crescita potenziale europea è del 2% addirittura la stessa logica ci dovrebbe condurre ad …. abbassare la soglia del deficit massimo al 2%.
      Ma la questione è altrove. Potremmo per esempio dirci che vogliamo stabilizzare il debito sul PIL al 90%, tanto un numero vale l’altro: ed allora il deficit sarebbe del 3,5%. Oppure potremmo dirci che quello che conta è che durante le espansioni dobbiamo essere veramente rigorosi a controllare il debito. E che ora non è tempo di fare rigore.
      In realtà in trattati sono chiari: durante una recessione si può invocare di uscire dal 3%.

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      • Buonasera Professor Piga
        credo di aver capito che condivide anche lei l’assurdità di fissare un numero, che sia 3 o 60 o 90 o la tetraktýs, o la serie di Fibinacci.
        Non sapevo che trattati prevedessero di poterli trascurare in recessione, ma la regola mi sembra abbastanza ottusa comunque.

        Letta peggio di Monti? Come al solito diranno che la colpa è di Berlusconi e tutti, tranne lo zoccolo duro del PDL, ci crederanno. In realtà nessuno dei tre conta una cicca e la vera causa continuerà a fare disastri indisturbata.
        La Merkel, la finanza e le varie oligarchie continueranno a dettare le loro ingiuste regole e noi continueremo a subirle e a indebolirci.

        Mi domando qual è il limite oltre al quale lo smantellamento industriale e la cessione degli asset strategici agli stranieri sarà irreversibile. L’abbiamo già valicato secondo lei?

        E le domando anche se non pensa che a sostenere questa UE e l’euro, una dittatura e una moneta che con l’ideale europeo vero non hanno nulla a che fare, non rischia di passare per sostenitore di tale dittatura tout court?

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  3. Professore, Lei crede ancora che un governo, di qualunque colore esso sia, possa trattare alcunchè a Bruxelles o Francoforte? Io no. All’Italia, come a tutta l’Italia meridionale, è stato assegnato il ruolo di colonia economica della Germania e dei suoi satelliti. Quello che accade in Grecia (e di cui nessuno parla) accadrà presto da noi.
    Temo non via altra soluzione che una nuova lotta di liberazione nazionale, costi quel che costi

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  4. Più andiamo avanti e più mi convinco che per salvare l’Europa dobbiamo immediatamente uscire dall’euro, prima che sia troppo tardi..forse lo è già

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    • Più che uscire dall’euro bisognerebbe astenersi dal chiedere con insistenza agli attuali governanti di aumentare la spesa pubblica.
      E’ ovvio e lampante che sono dei servitori messi lì per imporre l’austerità; Berlusconi è stato condannato perché in campagna elettorale ha osato dire pubblicamente che l’Europa attuale è un inganno ai danni dei lavoratori e dei piccoli imprenditori e quindi non è più affidabile.
      Se si continua a elemosinare politiche keynesiane a Monti, Letta, domani Saccomanni, sapendo perfettamente che non possono materialmente proporre delle politiche di maggiore spesa pubblica, si rivela tutta la pochezza delle proprie intenzioni.

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  5. Preg.mo prof. Piga, sembrerà che io vada fuori tema dal post, ma con un occhio più distaccato, vorrei dire, più alto, credo di non andarci affatto perché il problema è sempre quello: l’Italia non è più una nazione sovrana; oltre che per l’euro che è strumento di questa cessione di sovranità anche per quanto mi accingo a dire e sottoporre alla sua attenzione.
    Nell’approccio teorico del Mainstream è supposta l’esistenza di una condizione di equilibrio naturale tra domanda o offerta, rappresentato da un “livello naturale dei prezzi”, verso cui può tendersi, a lungo termine; ciò può essere fatto “rimuovendo gli ostacoli” che si frappongono al suo raggiungimento: principalmente i diritti dei lavoratori, il sistema di protezione sociale e l’influenza dello Stato. Da qui, l’esigenza delle cosiddette “riforme strutturali” volte ad accelerare il raggiungimento di quell’equilibrio naturale tramite la rimozione degli ostacoli. Inoltre la componente teorica del Mainstream, il marginalismo neoclassico, esclude del tutto la presenza di crisi economiche che non sono altro che il “transitorio” che si manifesta durante il raggiungimento di una nuova configurazione di equilibrio.
    Il problema è che questo “transitorio” potrebbe essere di “lunga durata” e nel frattempo, come affermava Keynes, le sofferenze di fasce sociali sempre più ampie diventeranno insostenibili; sempre che esista una condizione di equilibrio da raggiungere e, come vedremo, essa può non esistere affatto.
    Il modello marginalistico neoclassico, tipico del Mainstream, si riconduce alla definizione di utilità marginale del prodotto con una apposita modellazione matematica che esclude nelle proprie deduzioni ogni argomentazione relativa alla produzione, ma definisce i prezzi (compreso il salario) come un indice di scarsità relativa; esclude, inoltre, nella definizione di utilità marginale dell’individuo ogni ulteriore esigenza connessa alle sue aspettative per il futuro.
    Ritengo che questa non sia solo una ipotesi ma addirittura una condizione del modello, nel senso che l’individuo non “DEVE” avere alcuna aspettativa perché essa costituisce OSTACOLO al raggiungimento dell’equilibrio naturale: l’equilibrio tra domanda e offerta in cui tutto ciò che è offerto viene consumato; l’uomo è visto come un semplice automa, consumatore e null’altro.
    Possiamo, invece DIMOSTRARE, partendo dalle conclusioni di Piero Sraffa, analizzando il modello comportamentale del consumatore, sia dal punto di vista individuale che aggregato che solo un modello di tipo prettamente keynesiano è in grado di garantire la riproducibilità di un sistema economico garantendo anche le aspettative per il futuro.
    Sraffa, infatti, sosteneva che i prezzi sono una diretta conseguenza del sistema produttivo e, come tali, si presentano al consumatore come un dato di fatto e hanno un legame con i salari complesso, dipendente dalla natura e struttura del sistema produttivo stesso.
    Se nel modello comportamentale del consumatore, oltre all’utilità di acquisto dei prodotti consideriamo i prezzi fissi, o comunque poco variabili, e consideriamo anche l’utilità del capitale (o reddito) posseduto in chiave di “aspettativa per il futuro” si ottengono risultati fortemente divergenti dall’analisi del marginalismo neoclassico.
    Accade cioè che quando, per l’individuo, o per la collettività, il vincolo di bilancio inizia a diventare attivo L’UTILITA’ MARGINALE DI ACQUISTO DEI PRODOTTI DIVENTA NEGATIVA ED E’ PROPORZIONALE ALL’UTILITA’ MARGINALE DEL CAPITALE POSSEDUTO, con fattore di proporzionalità coincidente con il prezzo.
    L’equilibrio supposto tra domanda e offerta può, pertanto, non verificarsi per il manifestarsi della preferenza per la liquidità (trappola della liquidità) senza che tale liquidità abbia un corrispondente in investimenti produttivi; e di ciò se ne era già accorto Keynes nella sua Teoria Generale.
    In situazione di trappola della liquidità (alta utilità percepita del capitale) l’insieme degli individui, anche per l’azione non cooperativa tra essi, preferisce conservare una quota di quanto possiede in termini di liquidità piuttosto che consumarlo per intero, ma la riduzione del consumo vanifica lo scopo del processo produttivo che, per cicli successivi, tende ad essere disinvestito comportando un impoverimento progressivo e inesorabile del sistema economico.
    Allora il tanto decantato equilibrio naturale non sussiste più; si giunge così a dover, necessariamente, introdurre nel modello di gestione del sistema economico una ulteriore figura cooperativa, normativa e impositiva che sia in grado di abbassare l’utilità percepita del capitale.
    L’unico che può farlo è lo Stato mediante la spesa pubblica, che aumenta la propensione al consumo (abbassando l’utilità percepita del capitale) e riavvia il sistema economico.
    Se invece, la voce spesa pubblica diventa negativa, cioè lo Stato in una situazione critica sottrae ricchezza allora il sistema economico assume stati di sofferenza che possono solo accelerare il suo impoverimento.
    Secondo la concezione dominante, il Mainstream, esiste un’altra figura che può svolgere questo ruolo: LA FINANZA; essa si dovrebbe porre, così, sullo stesso piano degli Stati; ma poiché la funzione degli Stati può essere di ostacolo al raggiungimento dell’equilibrio naturale, LA FINANZA DEVE ESSERE AL DI SOPRA DEGLI STATI.
    Ma la finanza non è né cooperativa, né normativa e sono sotto gli occhi di tutti gli effetti della crisi del 2008! Allora non resta che ritornare all’unica istituzione veramente cooperativa e normativa: lo Stato.
    Ed è questo il problema cruciale dei nostri giorni: Stati sottoposti alla Finanza!; il nostro problema.

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  6. Le problematiche politiche sociali ed economiche sono esistite da sempre, rendendo la storia testimone di vere e proprie apocalissi dagli orrori per noi inimmaginabili. Questo é un processo continuo.
    Le generazioni vanno e vengono, nonostante le avversità apparentemente insormontabili un organizzazione sociale sì è sempre evoluta nel tentativo di soddisfare i bisogni reali della comunità, indipendentemente da tutte le forme politiche più o meno corrotte e indubbiamente “spaventose”.
    Occorrerebbe non perdere mai di vista in questa fitta nebula, cosa veramente garantisce il benessere alla nostra società e quali siano i giusti propositi da adottare per garantirlo, partendo proprio da noi, approfittando di questa apocalisse per vedere la realtà in profondità.
    Abbandonare per delusione il desiderio di collaborare per il bene generale, può risultare peggio che commettere le negligenze e/o aberrazioni che stiamo subendo, si perderebbe qualcosa di fondamentale, con lo stesso risultato di come non si fosse mai compiuto alcun tentativo di porre un ordine, un progresso.
    Se prevalesse tra le persone di buonsenso un’unità, potrebbero essere realizzate imprese anche molto difficili.
    Se solo ci venisse offerto, come il Prof.Piga da tempo generosamente offre, il contributo di persone con valori sani, obiettivi chiari e convincenti, ispirate dall’entusiasmo necessario per andare avanti, questa piccola e grottesca europa potrebbe realmente elevarsi all’Europa che desideriamo, potremmo veramente riconsegnare al nostro Paese giustizia e dignità, potremmo essere anche noi quegli uomini e donne senza volto che con determinazione contribuirono all’impresa.

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    • Buonasera Cristina
      ha scritto concetti molto condivisibili, se non fosse che
      “le negligenze e/o aberrazioni che stiamo subendo”
      stanno minando l’unità, la pace e la collaborazione tra gli stati europei facendoli divergere (anche economicamente).
      Ci sentivamo più europei prima; ora siamo come belve feroci chiuse nella stessa gabbia. O forse belve e agnelli dal momento che i paesi del sud hanno governi che non tutelano affatto gli interessi dei cittadini che dovrebbero rappresentare, ma al contrario con molto zelo si prestano a svenderci al più (pre)potente.

      Non vedo come ciò che ha causato questa situazione ora ci possa aiutare a risolverla.
      Dobbiamo proprio aspettare di azzannarci o possiamo provare a uscire prima dall’ (euro)gabbia?

      Non ho mai appoggiato la dittatura della finanza e delle banche proprio perché amo l’Italia, l’Europa, la libertà e la pace. Cose che giorno dopo giorno ci stanno togliendo in nome dell’Europa, ma l’Europa è altro e non può fondarsi sulla moneta e sui trattati voluti da megalomani criminalmente avidi e totalmente privi di scrupoli e di coscienza.
      Nulla che posi su queste fondamenta avrà mai possibilità di diventare una cosa buona.

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  9. Salve Chiara.
    Sì, ma anche se fosse, fuori da euro dove? E con chi?
    In un Italia fatta così? A pezzi? Con una classe dirigente così? Totalmente sconclusionata?
    Non si può disfare senza dare nulla in cambio. Torno a dire sino all’ossessione che allo stato delle cose è da noi che dobbiamo partire. Dalla nostra politica e da noi stessi. Il resto è solo un effetto.
    È la perdita di coscienza che costituisce quel serraglio di “belve feroci”di cui parla.
    Anche da questo smarrimento “non avremmo mai possibilità di diventare cosa buona”.
    Il guaio purtroppo, e qui vengono meno anche le mie speranze, è che ciò che abbiamo veramente perduto è la capacità di reagire. Non siamo più individui capaci di rispondere alle pressioni del mondo esterno quando valori di democrazia e unità vengono compressi o rinnegati. Siamo diventati una società soppressa ed alienata. Sono le dimissione dalla nostra forza vitale che abbiamo rassegnato all’avversario. Questa è la vera gabbia, questa è la vera tragedia. Abbiamo dimenticato che non c’è sfida che non si può combattere per un mondo unito e democratico.

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