Letta, il Fiscal Compact uccide i giovani

         E’ alquanto clamoroso che Enrico Letta abbia proposto di portare avanti un progetto meritevole, su cui ci si attenderebbe una risposta entusiastica della maggioranza del Paese, e ne sia uscito unanimemente (o quasi) criticato e quasi certamente sconfitto.

         Il progetto? Una dote di 10.000 euro per la metà dei 18enni italiani, assegnata in base all’ISEE familiare, per giovani tra i 13 e d17 anni (“per la Generazione Covid”), da spendere per formazione e istruzione, lavoro e piccolo imprenditoria oppure ancora per casa ed alloggio. Una bellissima idea!

         E allora? Che è successo? Come mai tutte queste critiche?

         Per un motivo semplicissimo.

Il motivo è che la proposta Letta in realtà non è stata, secondo alcuni, una sola, ma piuttosto due. In effetti poche righe sotto si può leggere come questa dote sarà “finanziata dalle successioni dell’1% di italiani, intervenendo su eredità e donazioni superiori a 5 milioni di euro” e ancora più in basso si ricorda (correttamente) come tali revisioni progressive colmano un “divario” rispetto ad altri Paesi occidentali (“oggi l’Italia incassa dalle successioni 800 milioni di euro, contro i 6 miliardi della Gran Bretagna, i 7 miliardi della Germania e i 14 della Francia”).

 E così tutta l’attenzione dei media e dei politici (gli altri) si è concentrata su questa seconda proposta, completamente dimenticando la prima, in un paradossale e completo rovesciamento dell’enfasi comunicativa voluta dal segretario PD, che aveva dedicato non a caso l’incipit della sua dichiarazione alla dote dei giovani.

 Io tuttavia credo che il problema sia altrove. Ovvero che – nella testa di Letta –  non fossero due proposte, ma una sola, inscindibile.   

Per vari motivi. Il primo ha a che vedere con il fatto che nessun politico si cimenta in due proposte singole contemporaneamente: finisce per diluire il messaggio agli elettori (basterà chiedere a Berlusconi quando si inventò al fotofinish davanti a Prodi in televisione l’abolizione dell’ICI per tutti).

 Il secondo è che effettivamente un (bel) legame simbolico c’è: è la successione che viene lasciata alle future generazioni, tutte. Niente male come associazione.

 Ma un difetto, non piccolo, sì che c’è, ad accoppiarle: direbbe Keynes che una sinistra che si rispetti aumenta la spesa in tempi bui di recessione e aumenta le tasse in tempi di ripresa. Ed è qui che le cose cominciano ad attorcigliarsi. Perché Letta non ha semplicemente proposto la dote e basta, rinviando l’aumento della tassa alla (futura) ripresa vigorosa dell’economia?

Perché aveva bisogno di non essere accusato di proporre una misura che finisse per aumentare il deficit ed il debito. Strano, e non solo secondo Keynes. In fondo, lo stesso grande economista Ricardo aveva lasciato ai posteri la nozione di equivalenza ricardiana, ovvero che fosse irrilevante come veniva finanziata una proposta di spesa (se con tasse o debito) e piuttosto rilevasse come venivano ad essere spese quelle risorse, se bene o male.  

E dunque perché questo timore di essere accusato? Per una semplice ragione: quel Fiscal Compact europeo, che ha plasmato il DEF presentato dal Governo Draghi un mese fa, che richiede all’Italia un percorso di ferrea austerità, tale da obbligarci a ridurre il deficit l’anno prossimo di ben 6 punti percentuali di PIL (più di 100 miliardi di euro). E’ vero, nel 2022 l’Europa ha proclamato che il Patto di Stabilità non è vincolante, ma l’impotenza di Letta a fare la cosa ovvia (politicamente e economicamente) – ovvero di finanziare l’utilissima spesa per la dote con ricorso al deficit e non aumentando le tasse – è la dimostrazione palese che le regole europee mordono eccome, e che i fondi del Recovery dal bilancio europeo sono stati concessi solo in cambio di una addirittura maggiore austerità dal lato del bilancio italiano.

In una recessione drammatica come questa, l’Italia rischia dunque di non poter avere la sua dote per i giovani. Perché l’unico modo di averla sarebbe quello che impone l’Europa (con maggiori tasse e senza deficit) e quest’unico modo non può essere accettato politicamente all’interno dalla coalizione degli alleati (che sfrutta dunque l’occasione per criticare il segretario PD).

L’unica mossa che può ancora fare Letta è quella di convincere Draghi a concedere minore austerità, permettendo un minor calo del deficit nel 2022 di quello folle promesso all’Europa senza che questa lo chiedesse, evitando di perdere l’ennesima occasione. Quale occasione? Quella di – tenendo il deficit 2022 in tempi di crisi ad un 10% di PIL e rinviando la tassa sulla successione alla ripresa vera nel 2024-  aiutare l’economia a riprendersi e al contempo ridare ossigeno e speranza alla componente più fragile ma anche più innovativa del Paese, i giovani.

Speriamo che Letta si renda conto di quanto costa, politicamente ed economicamente, schierarsi dalla parte dei pochi ma influenti tifosi del Fiscal Compact e che ritrovi lo spirito keynesiano che si addice ad un partito dalle origini ben definite.

Scultura: Gentlemen di Angela Maria Piga

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *