Keynes oggi: politica fiscale e democrazia

Da intervista ad Agenzia Adnkronos

Attualizzare Keynes: nel Recovery e nella manovra di Biden quanto Keynes c’è?

Dovremmo risuscitare quel genio di Keynes, e passare una meravigliosa giornata con lui a rispondere alle sue mille domande su cosa è avvenuto in questi 75 anni dalla sua morte alla tecnologia, alla politica, alle società. Lo saluteremmo per la sera, per ritrovarci nuovamente l’indomani. Durante la notte, che lui avrebbe, ne sono certo, passato insonne, avrebbe elaborato un nuovo Trattato di economia, in cui sarebbero state contenute le sue nuove idee su quel XXI secolo che non ha mai potuto vedere (anche se lo aveva sin dal 1929 potentemente immaginato, con un piccolo saggio chiamato “Possibilità economiche per i nostri nipoti”, dove si avventurava a speculare su come sarebbe stato il mondo nel 2030). E il giorno dopo lo avrebbe presentato brillantemente non più solo alla radio come già faceva, da precursore, tra le due guerre mondiali, ma usando con maestria i social.

E se un giornalista gli avesse chiesto “che ne pensa del piano di Biden per sollevare gli Stati Uniti?”, Keynes, l’uomo che criticò addirittura il New Deal di Franklin Delano Roosevelt per essere stato troppo timido nello stimolare l’economia con gli investimenti pubblici, forse non sarebbe stato così critico. Ora che in America anche noti economisti definiti come “neo-keynesiani” come Larry Summers temono la manovra perché rischia di essere troppo ingente, sospetto che Keynes avrebbe sorriso e dissentito. Per Keynes, in fasi di depressione come questa, nulla era mai troppo: “mi piacerebbe che si ideassero e si attuassero progetti di grandezza e di magnificenza” diceva.

Certo non avrebbe certo approvato in maniera analoga quanto sta facendo l’Europa. E non solo perché i numeri del Recovery Plan impallidiscono di fronte alla manovra di Biden. Ma soprattutto perché non avrebbe mai sopportato e forse nemmeno compreso, nemmeno lui, questa marziana sovrastruttura di costituzione fiscale chiamata Fiscal Compact, diabolicamente ingegnerizzata dieci anni fa dai tecnocrati europei e supinamente accettata dai leader politici dello stesso Vecchio Continente. Non c’è niente di keynesiano in un progetto che con una mano dà (il Recovery) e con l’altro pretende che si tolga addirittura più di quanto non dia. Così Draghi che presenta proprio l’altro ieri un Documento di Economia e Finanza che troverà gli applausi europei, che abbassa il deficit pubblico sul PIL dall’11,8% di quest’anno al 5,9% del 2022 ed al 3,4% del 2024, avrebbe fatto gridare Keynes: “a questi ritmi, anche nel breve periodo siamo morti”. Come dargli torto?

Quanto è importante riscoprire Keynes per la sostenibilità sociale e per la democrazia?

Keynes era conscio dell’inerente instabilità dei sistemi capitalistici e ne temeva le conseguenze, quelle che chiamava “degenerazioni”, fascismo e bolscevismo. Difendeva dunque i primi convinto di difendere la democrazia. Che doveva tuttavia mostrarsi capace di risolvere quello che lui chiamava il “problema politico dell’umanità” e cioè “mettere insieme tre elementi: efficienza economica, giustizia sociale e libertà individuale”. A proposito della seconda, si appellava alla necessità di uno “spirito altruistico, all’entusiasmo ed amore per l’uomo comune”. Una democrazia che non seguisse queste necessità è una democrazia destinata a soccombere?

Lo si sostiene oggi quando si ricorda da più parti che il New Deal di Roosevelt non fu soltanto una risposta ai problemi economici di allora, ma soprattutto una risposta ai movimenti antidemocratici, fascisti o militari in quel caso, che cominciavano a pervadere gli Stati Uniti dei primi anni Trenta. Una “chiamata alle armi” sentenziò Roosevelt in campagna elettorale, per salvare la democrazia. Ma salvarla significava, appunto come sosteneva Keynes, l’amore concreto per l’uomo comune, un’azione mirata ad aiutare i più in difficoltà con lavori pubblici e lavoro nel pubblico, così restaurando quella “vicinanza con la propria gente che è necessaria per preservare la nostra forma democratica di governo”, diceva a sua volta il Presidente americano.

L’Europa purtroppo stenta a capire quanto stia mettendo a rischio la propria costruzione democratica quando affascinata da efficienza e libertà (economica) dimentica la terza gamba keynesiana e rawlsiana, quella della giustizia sociale, preparando l’ingresso per coloro che non hanno a cuore la libertà politica.

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